L’opera vincitrice del “Premio Ettore Fieramosca” è Angelicum, di Maria Grazia Zohar di Karstenegg.
Si tratta di un’opera digitale in cui è evidente la dimensione catartica di emozioni che si liberano in quelle ali d’oro, colore che rimanda alla spiritualità, all’ascesi, alla declinazione verso i luoghi più reconditi dell’anima.
L’opera è una salita, un viaggio introspettivo che Maria Grazia Zohar intraprende proprio dando libero sfogo alle emozioni del momento, in un contesto in cui l’uso della luce rimarca tale espressione artistica, che è un’esigenza della donna che viene prima dell’artista.
Un’immagine che nasce dall’estroflessione di se stessa, di quel vortice emozionale che Zohar sente esplodere in sé.
Liberarsi nell’aria grazie ad ali d’oro è metafora di un percorso, di un’esigenza, di una voglia viscerale di ricercare il meglio dalla vita.
Ed è singolare che l’artista riconduca quel meglio all’aspetto spirituale, perché rinnega il materialismo del mondo moderno, in cui, al contrario, si cerca l’appagamento circondandosi di oggetti che abbelliscano la superficie, l’involucro anziché il contenuto.
Maria Grazia Zohar di Karstenegg volge lo sguardo verso l’alto, metafora che invita a guardare in se stessi, per attingere al bene che è nascosto in ciascuno; ma la salita è anche invito a migliorare l’aspetto culturale che apre la mente, che non arricchisce con beni strumentali e materiali, ma fornisce l’unica ricchezza che ciascuno porterà con sé nel giorno del giudizio: la cultura.
L’artista parla del contatto con la spiritualità e con la dimensione della meditazione, aspetto non banale in un tempo come quello in cui viviamo, dove meditare, pensare e dubitare sembrano attività superate, passate di moda.
Angelicum è un’opera che esalta i valori intramontabili dell’essere umano, degli uomini e delle donne di spessore, in cui il pensiero, la personalità, l’essenza derivano dalla maturità della relazione tra corpo, mente e spirito.
La stessa scelta di esprimersi attraverso un linguaggio dei nostri tempi, come l’arte digitale, è già di per sé simbolico, sotto il profilo semiotico.
L’espressione digitale è figlia del presente, ma è associata troppo spesso soltanto all’infinità di immagini che si consumano ogni giorno sui social network e che raccontano storie che, per la maggior parte, sono prive di valore.
Maria Grazia Zohar di Karstenegg, invece, dimostra che non è il linguaggio a decretare il valore del messaggio, ma è lo spessore del messaggio stesso a farlo.
Le ali dorate fuoriescono dall’opera, a rimarcare il desiderio di libertà, quella che si può trovare solo quando si è appagati e in pace con se stessi senza necessità di circondarsi di oggetti materiali.